Il volo di Margherita

Margherita riagganciò, e nella stanza accanto si sentirono dei rintocchi legnosi e poi dei colpi alla porta. Margherita la spalancò e la scopa, con le setole all’insù, volò danzando dentro la stanza. L’altra estremità batteva il tempo sul pavimento, scalciava e cercava di farsi largo fino alla finestra. Margherita strillò entusiasta e le saltò in groppa. In quel momento all’amazzone venne in mente che in quel marasma aveva dimenticato di vestirsi. Saltò giù di gran carriera verso il letto e afferrò la prima camicetta che le capitò a tiro. E volò alla finestra agitandola come uno stendardo. Col valzer che rimbombava sempre più forte.

Margherita scivolò giù dalla finestra e vide Nikolaj Ivanovic sulla panchina. Quello sembrava essere diventato tutt’uno con essa e, esterrefatto, tendeva l’orecchio alle grida e al fracasso che giungeva dalla camera da letto illuminata degli inquilini dell’attico.

- Addio, Nikolaj Ivanovic! – strillò Margherita, danzandogli davanti.

Quello sbottò in un “oh” di meraviglia e scivolò sulla panchina, spostandosi a tentoni e facendo cadere a terra la borsa.

- Addio per sempre! Volo via. – strillò Margherita, coprendo il valzer con la sua voce. Al che realizzò che la camicetta non le sarebbe servita a nulla e con una risata sinistra, ci coprì la testa di Nikolaj Ivanovic. Che, accecato, cadde dalla panchina sui mattoncini del selciato.

Margherita si girò ad osservare per l’ultima volta la palazzina in cui aveva sofferto tanto a lungo, e scorse nella luce infuocata il viso di Nataša trasfigurato dallo stupore.

- Addio, Nataša! – strillò Margherita e scosse la scopa – Invisibile, invisibile! – strillò ancora più forte e, tra i rami dell’acero che le sferzavano il viso, spiccò il volo oltre il portone e sbucò nel vicolo. E dietro di lei il valzer, impazzito.

 Si viaggia, non solo per piacere. Spesso il viaggio è metafora di fuga dalla sofferenza, ricerca di nuove mete che riescano a riaccendere la curiosità e l’amore per la scoperta.

 Il viaggio di Margherita che ci racconta Bulgakov è solo uno dei tanti episodi eccentrici ed insoliti presenti nel romanzo “Il maestro e Margherita”. Il lettore-viaggiatore rimane incredulo, soprattutto di come dinnanzi a tanta sofferenza e a tanti soprusi e diritti negati, i protagonisti di quest’ opera abbiano ancora tanta voglia di fare cose folli e di innamorarsi del pericolo sfrenato. Margherita brama di vita e di avventura. Non conosce i particolari del suo viaggio: sa solo che quando arriverà alla meta, potrà finalmente parlare con un Illustre sconosciuto, cui chiederà pace e redenzione per lei e per l’uomo che ama.

La donna si lancia in maniera forsennata in un volo, prima attraversando la città di Mosca, poi i suoi confini boscosi e lacustri.

 D’un tratto tutto questo si fece da parte e le file di luci si amalgamarono, fondendosi. Margherita diede un altro strattone, allora l’amasso di tetti sembrò sprofondare, e al suo posto apparve un lago di lucine elettriche tremolanti, lago che all’improvviso si impennò per ricomparire sopra la testa di Margherita, con la luna che brillava ai suoi piedi. Realizzato di essere finita a gambe all’aria, Margherita riprese la posizione consueta e, girandosi, vide che il lago non c’era più e che dietro di lei era rimasto solo il rosso del tramonto all’orizzonte. Che scomparve a propria volta un istante dopo, e Margherita si accorse di essere rimasta sola con la luna che volava sopra di lei, alla sua sinistra. I suoi capelli erano tutti scarmigliati, e la luce della luna le lambiva il corpo con un sibilo. Dal fatto che in basso le due file di rade luci si erano amalgamate in due strisce ininterrotte e luminose, e dalla rapidità con cui se le era lasciate alle spalle, Margherita capì che stava volando a velocità folle, e si stupì di riuscire comunque a respirare.

 Fin dalla sua prima apparizione nel romanzo, si avverte in Margherita la necessità dell’evasione. Ella è schiacciata dal mondo reale ed ha bisogno di respirare a pieni polmoni aria pura, segno della ritrovata libertà. La fusione panica con la natura selvaggia che la circonda accentua la sua condizione di donna magica, che ha saputo riscattarsi dalle catene sociali che mortificavano il suo spirito e si è lanciata in questo volo frenetico, a cavallo di una scopa che la rende invisibile ai comuni mortali.

 La terra si alzava verso di lei, e da una massa fino a poco prima nera e informe si distinguevano misteri e delizie di una notte di luna. La terra le andava incontro, e Margherita era già avvolta dall’effluvio di boschi verdeggianti. Sorvolò le brume di un bosco rorido, poi uno stagno. Ai suoi piedi si alzava il coro delle rane, e in lontananza si sentì il fischio di un treno, che le fece stranamente salire il cuore in gola. Margherita lo localizzò: procedeva adagio, come un bruco, eruttando scintille. Superatolo, Margherita passò sopra uno specchio d’acqua in cui galleggiava una seconda luna, si abbassò ancora di più, sfiorando quasi con i piedi le cime di pini giganteschi.

“Il volo di Margherita” Gianfranco Uber

Il viaggio di Margherita è la ribellione dell’uomo di fronte al grigio qualunquismo e alla sterile burocrazia della vita quotidiana. Margherita si allontana dalla sua città, felice di sorvolare luoghi che prima le sembravano impenetrabili. Man mano che scopre paesaggi per lei inediti, si ricopre sempre più della sua nuova essenza di strega e ne assapora piacevolmente il gusto. Non sa di preciso dove è diretta, ma si gode una rinnovata indipendenza dello spirito sicura che, quando sarà il momento, le verrà comunicato dove recarsi.

Margherita continuava a volare lenta come prima, su luoghi deserti e sconosciuti, sopra colline disseminate di rari spuntoni di roccia tra pini sparuti ma enormi. Margherita volava e pensava che, probabilmente, era ormai molto lontana da Mosca. La scopa volava non più sopra le chiome dei pini, ma tra i loro fusti, con la luna che li inargentava su un lato. L’ombra lieve della donna volante la precedeva scivolando lungo il suolo: ora la luna le brillava alle spalle.Margherita percepiva la vicinanza dell’acqua e intuì che la meta era vicina. I pini si diradarono, ed ella si avvicinò in silenzio, nell’aria, a un crepaccio argilloso. In basso, nell’ombra oltre il crepaccio, si stendeva un fiume. La nebbia si impigliava tra i cespugli del dirupo, e la riva opposta era liscia e bassa. Su di essa, sotto un gruppo solitario di alberi frondosi, baluginava il fuoco di un falò e si intravedevano delle figure in movimento. A Margherita sembrò che di lì giungesse una musica allegra e sibilante. Più oltre, fin dove arrivava il suo sguardo, sulla pianura argentata non si vedevano altri segni dell’esistenza di case o persone.

 Avendo incontrato i compagni di una nuova avventura, Margherita si appresta ad un nuovo viaggio; stavolta non in sella ad una scopa volante, ma a bordo di un’auto. La donna-strega si lascia alle spalle il mondo reale, pronta a catapultarsi in un universo incomprensibile, ma allo stesso tempo irresistibile e tanto anelato da lei stessa. Quindi, si scaldano i motori e si parte, alla volta di un palcoscenico tanto irreale e immorale, quanto necessario e profondamente vero.

Poi tutti iniziarono a prepararsi per la partenza. Le ondine finirono la loro danza al chiaro di luna, e si dissolsero in essa. Il tipo con le zampe di capra chiese ossequiosamente a Margherita come fosse arrivata sul fiume; saputo che era giunta in groppa a una scopa, disse:

- Ma no, ma perché: è così scomodo! – e in un istante formò con due ramoscelli un bizzarro telefono, in cui ordinò a qualcuno di mandare all’istante una macchina, ordine che venne eseguito in un istante. Sull’isola piombò una decappottabile saura con al posto di guida non un comune autista ma un gracchio nero, col becco lungo, un berretto di incerata e i guanti forati. L’isolotto rimase deserto. Le streghe volanti si dissolsero contro la luce della luna. Il falò arse fino a spegnersi, e le braci si coprirono di cenere biancastra. Il tipo con le basette e quello con le zampe da capra aiutarono Margherita a salire, ed ella si accomodò sullo spazioso sedile posteriore. La macchina rombò, diede uno scossone e si alzò fin quasi alla luna, l’isola scomparve, scomparve anche il fiume, e Margherita partì per Mosca.

“Il maestro e Margherita” dall’omonimo romanzo di M. Bulgakov

 

 

 

 

 

 

Serena


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