Quando viaggiare era un’arte: il romanzo del Grand Tour

Nel XVI secolo “l’idea di viaggio che si diffonde nell’aristocrazia europea è un’idea nata dalla curiosità intellettuale della nuova scienza che osserva i fenomeni naturali e quelli creati dall’uomo , facendo nel contempo oggetto di entusiasta contemplazione le antichità classiche” ( Attilio Brilli ,Quando viaggiare era un’arte, 2006).

Dopo i termini travel and Journey, si affianca anche quello di Tour inteso come “giro” dei paesi continentali e in particolare dell’Italia. Infatti il Grand tour, che si consolida verso la fine del Seicento, era un viaggio intrapreso per lo più dai rampolli dell’aristocrazia inglese che avevano di solito un’età compresa fra i 16 e i 22 anni, accompagnati da un tutore e dai servitori. Il viaggio durava 3 anni e alla fine di questo il giovane doveva tornare maturo e pronto ad assumersi le responsabilità di governo. Questo viaggio serviva per approfondire le loro conoscenze. Ci si aspettava che dall’esperienza il giovane ne acquisisse intraprendenza, coraggio, attitudine al comando, conoscenza di costumi, galatei e lingue straniere, conoscenze necessarie alla futura classe dirigente. Al viaggio si accompagna la produzione di diari, epistolari, guide, relazioni cui l’autore attinge a piene mani per il suo volume. Illustra itinerari, stagioni e luoghi di sosta; descrive i dettagli del viaggio materiale con il suo corredo di carte, passaporti, bauli, guardaroba e armi; descrive la vita in carrozza e i suoi protagonisti, le camere, le locande.

L’itinerario standard prevedeva Parigi e la Francia; si raggiungevano le principali città italiane attraversando le Alpi e qualche valico come il Moncenisio, ovvero Genova , Milano, Venezia, Firenze e Roma . Solo di rado si raggiungeva il sud Italia.

Martina


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